9 ottobre 1963. La tragedia del Vajont
Cinegiornale Obiettivo 87: Dall’alto sembra estranea la sciagura del Vajont. Nemmeno il Cadore sembra più il Cadore e la valle e il Piave sembrano diversi in questa geografia sconvolta dalla morte. Dall’alto si getta lo sguardo su un disastro che pare lontano migliaia di chilometri dalla nostra pietà. Un disastro che non riesce a rappresentarsi, a diventare umano. La diga è ancora più bianca, il lago gonfio e lucido di sole è diventato più piccolo, immiserito dalla catastrofe. Sembra un disastro estraneo e lontano, asiatico, e invece è accaduto fra noi, fra la nostra gente, fra le nostre montagne. Qui, nel Cadore, nella valle del Piave dove la natura ha impastato di fango il paesaggio e i morti. Sono qui, sotto le case che non ci sono più in un cimitero uguale e senza croci. Qui c’era una casa e una famiglia, qui c’era Longarone, un paese con tante famiglie, tanti uomini, tante donne, tanti bambini. Non è rimasto niente. Qui sono venuti gli uomini per soccorrere ma non c’è nessuno da soccorrere in un cimitero. Qui è venuto il prete per benedire, è venuta la suora per consolare, il medico per curare, ma non c’erano moribondi da benedire, disperati da consolare o malati da assistere. C’era solo da scavare e cercare i corpi, muovendo la terra con i picconi, tagliandola con i bulldozer. C’erano vivi e morti e il bilancio della sciagura del Vajont era tutto in questa sottrazione. Crudele e senza speranza I superstiti cercavano i loro morti senza riconoscerli, soffrendo davanti ogni barella. Davvero come una grande famiglia. La morte era giunta improvvisa di notte, mentre tutti dormivano nella valle. Non c’erano testimoni, solo piccole grandi storie da raccogliere.